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Rito abbreviato, illegittima riduzione della pena e appello dell’imputato: conseguenze ed effetti

Con sentenza n. 7578 del 17 dicembre 2020 (motivazione depositata il 26 febbraio 2021), le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione si pronunciano sul quesito: “Se il giudice di appello, investito dell’impugnazione del solo imputato che, giudicato con il rito abbreviato per reato contravvenzionale, lamenti l’illegittima riduzione della pena ai sensi dell’art. 442 c.p.p., nella misura di un terzo anziché della metà, debba applicare detta diminuente nella misura di legge, pur quando la pena irrogata dal giudice di primo grado non rispetti le previsioni edittali e sia di favore per l’imputato”.

 

Anzitutto giova rilevare come, a seguito della modifica introdotta dalla L. 23 giugno 2017 n. 103, art 1, in caso di giudizio abbreviato la diminuzione di un terzo della pena, originariamente prevista per tutti i reati dall’art 442 c.p.p., comma 2, è stata stabilita nella misura della metà per i reati contravvenzionali,.

Tale disposizione innovativa si applica, ai sensi dell’art 2 c.p., comma 4, anche ai fatti anteriormente commessi, purché sugli stessi non si sia formato il giudicato.

 

La Corte di Cassazione, poi, analizza l’art. 597 c.p.p. che, con riguardo alla “Cognizione del giudice di appello”, al comma 1 detta il c.d. principio devolutivo, il quale limita la cognizione del giudice di secondo grado ai “punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti”, non consentendo di operare su punti diversi da quelli toccati dall’impugnazione (salvo i casi tassativamente previsti dal comma 5) neanche in materia di trattamento sanzionatorio: la cognizione del giudice di appello sarà, cioè, esercitabile unicamente sui punti relativi alle componenti di tale trattamento a cui si riferiscono specificamente i motivi proposti.

 

Una volta, quindi, riconosciuta la fondatezza di un motivo di appello che lamenta l’illegittima riduzione della pena in misura inferiore a quella prevista dalla legge per la diminuente del rito abbreviato, il giudice di secondo grado dovrà limitarsi ad adottare le conseguenti determinazioni in ordine alla quantificazione della pena nella misura corretta, omettendo di allargare la propria decisione ad altre componenti del trattamento sanzionatorio non investite dall’impugnazione.

 

Una non consentita estensione della cognizione del giudice di appello si verificherebbe invece ove, in ragione di una ritenuta illegittimità in senso favorevole all’imputato della pena-base determinata in primo grado rispetto al limite minimo edittale, si mantenesse la pena complessiva nella dimensione stabilita con la sentenza appellata: in tal modo, infatti, si vorrebbe di fatto compensare la riduzione non applicata per la diminuente del rito con un corrispondente indiretto aumento della pena-base, attingendo in senso sfavorevole all’imputato il tema della misura di quest’ultima (e, quindi, un punto non devoluto con l’impugnazione).

 

Di contro, una volta che sia dedotta dinnanzi alla Corte di appello una questione sulla lamentata violazione di legge nella commisurazione della diminuente del rito abbreviato a favore dell’imputato, la stessa deve essere esaminata e, ove ritenuta fondata, dovrà comportare le conseguenti determinazioni da parte del giudice.

 

Poiché l’art 442 c.p.p., comma 2, cod. rito prevede categoricamente la diminuzione della pena nella misura della metà per effetto dell’opzione difensiva per il rito abbreviato nei procedimenti nei quali sono contestati reati contravvenzionali, il carattere tassativo di questa previsione scolpisce nitidamente il contenuto dell’obbligo decisorio sul punto, al quale il giudice non può sottrarsi, spettando correlativamente all’imputato il diritto a vedersi decurtata la pena nella esatta dimensione prevista.

 

In questa prospettiva, quindi, l’accoglimento di censure validamente proposte mediante l’atto di impugnazione dell’imputato che lamenti l’inosservanza e la violazione di legge in ordine ad una delle componenti del trattamento sanzionatorio (nel caso in esame la corretta entità della riduzione per il rito prevista per il reato contravvenzionale) non può essere neutralizzato da improprie forme di “compensazione” con altro punto ad esso inerente, quale l’erronea individuazione della pena in violazione dei minimi edittali, non devoluto alla cognizione del giudice.

 

In tal modo, infatti, oltre a violare le previsioni contenute nell’art 597 c.p.p., commi 1 e 3, si vanificherebbe l’effettività del diritto di difesa, che postula non solo l’accesso al mezzo di impugnazione, ma anche, a fronte di un motivo fondato ritualmente prospettato, un provvedimento giudiziale che offra reale risposta e concreto rimedio al vizio dedotto.

 

E, d’altra parte, l’ordinamento appresta, in situazioni analoghe, i suoi fisiologici rimedi, laddove attribuisce al pubblico ministero la facoltà di proporre impugnazione avverso una sentenza di condanna ad una pena che violi i minimi edittali. La mancata iniziativa dell’organo funzionalmente competente non può essere surrogata da un intervento correttivo officioso del giudice di secondo grado.

 

Ne consegue che “Il giudice di appello, investito dell’impugnazione del solo imputato che, giudicato con il rito abbreviato per reato contravvenzionale, lamenti l’illegittima riduzione della pena ai sensi dell’art 442 c.p.p., nella misura di un terzo anziché della metà, deve applicare detta diminuente nella misura di legge, pur quando la pena irrogata dal giudice di primo grado non rispetti le previsioni edittali, e sia di favore per l’imputato”.

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