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Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, ex art 282 ter c.p.p.: modalità applicative

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Con sentenza n. 39005 del 29 Aprile 2021 (motivazione depositata il 28 ottobre 2021) le Sezioni Unite valutano se, nel disporre la misura cautelare prevista dall’art 282 ter c.p.p., il giudice debba determinare specificamente i luoghi oggetto del divieto di avvicinamento e di mantenimento di una determinata distanza.

La misura cautelare di cui all’art 282 ter c.p.p., la cui rubrica recita “divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa”.

Tale misura è finalizzata ad impedire condotte minacciose o violente nei confronti di vittime predeterminate ed appare funzionale alla tutela dell’incolumità della persona offesa non solo da aggressioni verbali o fisiche, ma anche nella sfera psichica in conseguenza del turbamento derivante dall’incontro con l’indagato o dalla percezione della vicinanza dello stesso.

Il suo contenuto è duplice, potendo il giudice prescrivere all’intimato di “non avvicinarsi a luoghi determinati”, in funzione del fatto che sono abitualmente frequentati dalla persona offesa, o imporre al medesimo di “mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa”.

Va a questo punto segnalato brevemente il quadro normativo in cui si inserisce l’istituto in oggetto.

La misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa è stata prevista nell’ambito di una serie di riforme mirate ad introdurre, nell’ambito del sistema penale, e non solo, misure orientate alla tutela specifica della vittima del reato.

Il D.L. 23 febbraio 2009 n. 11 , recante “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 aprile 2009 n. 38, al fine dichiarato di maggiore incisività della tutela offerta rispetto ad allarmanti condotte persecutorie non adeguatamente contrastate, ha introdotto:

– sul piano del diritto sostanziale, il delitto di atti persecutori (art. 612 – bis c.p.);

– sul piano processuale, per offrire una risposta incisiva nel caso di condotte illecite mirate ad una vittima determinata o ai suoi congiunti, il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art 282 ter c.p.p.). La disposizione, nella intenzione del legislatore, mira sostanzialmente a prevenire sviluppi criminogeni potenzialmente degenerativi, in quanto la distanza tra l’indagato e la persona offesa dal reato dovrebbe evitare le occasioni di contatto agevolatrici della prosecuzione di condotte delittuose.

La soluzione della questione deve partire innanzitutto dall’interpretazione letterale della disposizione in questione che, peraltro, è abbastanza lineare e univoca, laddove nel comma 1, correla il divieto di avvicinamento ai luoghi “determinati” abitualmente frequentati dalla parte offesa ovvero l’obbligo di mantenimento di una determinata distanza da “tali luoghi”. Deve, poi, seguire una valutazione di compatibilità con i principi fondamentali in tema di diritti costituzionali di libertà e locomozione. Questi ultimi, invero, sono i profili che appaiono giustificare una lettura contraria alla possibilità di imporre un gravoso divieto “dinamico” di avvicinamento alla persona offesa, oltre che di allontanamento nel caso di incontro casuale.

Il “divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa”, come evidente, è calibrato fondamentalmente sulle particolari esigenze di tutela della vittima dello stalking.

Il contenuto della misura è disciplinato nel comma 1 dell’articolo citato: “il giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa”.

Il comma 2 della medesima disposizione estende il divieto, se necessario, impedendo l’avvicinamento rispetto alle persone in rapporti familiari e affettivi con la vittima.

Il comma 3 disciplina un’ulteriore misura, in quanto il giudice può imporre il divieto di comunicazione con la persona offesa (e gli altri soggetti del comma 2), con qualsiasi mezzo.

La disposizione prevede due prescrizioni finalizzate al precludere il contatto fisico tra persona offesa e indagato e una terza riferita ai contatti a distanza (spaziando dalla comunicazione gestuale alla telematica) che, però, non è prevista come autonoma, bensì, come aggiuntiva (“il giudice può, inoltre, vietare…”).

La preclusione del contatto fisico tra persona offesa e indagato è assicurata dal “divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa” ovvero “di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa”.

Con specifico riferimento a questa seconda prescrizione, oggetto specifico del contrasto di giurisprudenza, occorre evidenziare che l’obbligo di tenersi ad una data distanza può essere, in base al dato letterale, determinato in due modi diversi: mediante il mantenimento della distanza dai “luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa” ovvero “dalla persona offesa” in quanto tale.

La norma, quindi, è inequivoca nel prevedere la possibilità di applicare una misura il cui contenuto sia esclusivamente quello del divieto di avvicinamento alla persona fisica ovunque essa effettivamente si trovi nel dato momento. In ragione della natura dell’istituto, misura cautelare da adottare nella ricorrenza delle condizioni di cui agli artt. 273 e 274   c.p.p., l’applicazione graduale delle varie prescrizioni andrà correlata alla intensità delle esigenze cautelari da soddisfare soprattutto in ragione del rischio di aggressione fisica o psicologica della vittima, facendo riferimento al criterio generale di adeguatezza e proporzionalità di cui all’ art 275  c.p.p., commi 1 e 2.

La formulazione letterale dell’art 282 ter  c.p.p., il suo raffronto con l’ art. 282 bis c.p.p., comma 2, e con la Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio U.E. n. 2001 del 13/12/2011 sull'”ordine di protezione Europeo” citata dimostrano come sul piano testuale la norma introduca prescrizioni autonome che possono essere applicate alternativamente o congiuntamente.

Anche in questo caso il dato testuale ha chiara spiegazione nelle esigenze concrete che la norma intende salvaguardare.

Quanto alla applicabilità congiunta, va innanzitutto dato atto della sostanziale unitarietà dell’effetto della misura di cui all’art 282 ter c.p.p., la cui finalità è quella di evitare il contatto tra indagato e persona offesa, dovendosi graduare la misura secondo il concreto rischio del caso concreto; perciò, le due diverse prescrizioni possibili non definiscono due misure cautelari diverse, ma sono espressioni di un’unica misura, spettando al giudice il compito di determinare in concreto quali siano le modalità più idonee in concreto a tutelare, da un lato, le esigenze della persona offesa e, dall’altro, a salvaguardare comunque l’ambito di libertà personale dell’indagato.

Va solo ribadito che manca un rapporto di subordinazione tra le due misure previste dall’ art 282 c.p.p., comma 2.

La prescrizione del comma 3 può essere aggiunta a quelle disciplinate nel comma precedente.

Il criterio di giudizio, quindi, consiste nel considerare che la norma prevede una pluralità di prescrizioni che possono essere imposte alternativamente o cumulativamente, dovendo essere modulate in base alle esigenze di cautela da garantire nel caso concreto.

La disposizione introduce una misura che ha la caratteristica di essere espressamente mirata alla tutela della singola persona offesa, in favore della quale intende creare un vero e proprio schermo di protezione rispetto a condotte dell’indagato mirate all’aggressione fisica o psicologica.

Secondo le necessità del caso concreto, la persona offesa deve potere godere di tranquillità e libertà di frequentazione dei propri luoghi abituali e deve potersi muovere liberamente anche al di fuori di un contesto predeterminato con la certezza che il soggetto che minaccia la sua libertà fisica o morale si terrà a debita distanza, essendo obbligato all’allontanamento anche in caso di incontro fortuito.

Invero la misura, con le dovute indicazioni sulla distanza da tenere, risulta sufficientemente specifica ed eseguibile così come non vi è ragione che precluda la esigibilità di una condotta di allontanamento dell’indagato in caso di incontro con la vittima.

Del resto, poiché rilevano solo le eventuali violazioni dolose delle prescrizioni, non vi è motivo per ipotizzare il pericolo di applicare una sanzione per un incontro involontario.

Relativamente al contenuto delle prescrizioni il Collegio, pertanto, osserva quanto segue.

Per ragioni di interpretazione letterale e logico-sistematica la prescrizione del divieto di avvicinamento ai “luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa” non può prescindere dalla chiara indicazione di quali siano tali luoghi. ù

La individuazione di tali spazi serve a garantire che la persona offesa sia libera nei suoi contesti quotidiani.

In questo caso, è del tutto irrilevante che la persona offesa sia presente o meno: il divieto vale anche se all’indagato è noto che il soggetto protetto si trovi in tutt’altro posto; semplicemente, sia per la massima garanzia della vittima che per la facilità ed efficacia dei controlli, l’indagato deve sempre e comunque tenersi a distanza da tali luoghi che potranno anche essere indicati in forma indiretta, purché si raggiunga la finalità di dare certezza all’indagato sulla estensione del divieto.

La prescrizione del divieto di avvicinamento alla persona offesa impone all’indagato di non cercare il contatto con la stessa con la conseguenza che, persino in ipotesi d’incontro casuale, il soggetto, acquisita la consapevolezza della presenza della persona offesa, è tenuto ad allontanarsi, ripristinando la distanza determinata a lui imposta.

Si consideri, da ultimo, che trattandosi di misure coercitive inserite nel corpo del codice insieme alle altre, in assenza di divieti legislativi, valgono le regole generali: la misura è, in astratto, applicabile per qualsiasi reato e per tutte le esigenze cautelari previste dall’ art 274 c.p.p..

In conclusione, al quesito deve essere data la seguente risposta:

“il giudice che ritenga adeguata e proporzionata la sola misura cautelare dell’obbligo di mantenere una determinata distanza dalla persona offesa (art 282 ter c.p.p., comma 1) può limitarsi ad indicare tale distanza.

Nel caso in cui, al contrario, nel rispetto dei predetti principi, disponga, anche cumulativamente, le misure del divieto di avvicinamento ai luoghi da essa abitualmente frequentati e/o di mantenimento della distanza dai medesimi, deve indicarli specificamente”.

 

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