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Decreto di sequestro preventivo e obbligo di motivazione

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Con decreto del 10 marzo 2021 il Presidente aggiunto della Corte ha assegnato il ricorso alla Sezioni Unite penali, chiamate dunque a pronunciarsi sulla seguente questione: “Se il sequestro preventivo di beni finalizzato alla confisca previsto dall’art. 321 c.p.p., comma 2, richieda la motivazione in ordine alla sussistenza del requisito del periculum in mora”.

Non può esservi dubbio, anzitutto, sulla natura autonoma del sequestro preventivo a fini di confisca rispetto a quello impeditivo: oltre alle ragioni logico – sistematiche appena sopra ricordate, ne è indice evidente, oltre alla distinta collocazione topografica, all’interno della norma, della prima misura rispetto alla seconda, anche la diversa finalità, rapportata, nel caso del comma 1, all’esigenza di evitare che la libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso o agevolare la commissione di altri reati, e, nel caso del comma 2, invece, all’esigenza di assicurare al processo cose di cui la legge preveda la confisca indipendentemente dalla “attitudine” delle stesse a dare luogo agli effetti e alle conseguenze, in termini di aggravamento, protrazione degli effetti, e reiterazione del reato, già considerati dal comma 1.

E tuttavia, se l’autonomia del sequestro a fini di confisca rispetto a quello impeditivo, ben può giustificare l’affermazione costante secondo cui i parametri di adozione e i conseguenti oneri motivazionali del sequestro di cui al comma 2 non possono ricalcare, evidentemente, quelli del sequestro impeditivo, non per questo la motivazione della misura adottata a fini di confisca potrà sempre esaurirsi nel dare atto, semplicemente, della confiscabilità della cosa.

Che infatti, e innanzitutto, il sequestro a fini di confisca debba essere sorretto da una motivazione è affermazione che non può essere posta in dubbio anzitutto con riferimento al piano letterale della norma considerata.

Se è vero che, a differenza del comma 1, testualmente comprensivo del riferimento ad un “decreto motivato” (evidentemente in relazione ai presupposti rivelati dall’incipit dello stesso comma quanto all’oggetto del pericolo che si vuole evitare), il comma 2 nulla evidenzia sul punto della motivazione, è altresì innegabile che al carattere discrezionale dell’esercizio del potere di ablazione, rivelato dall’impiego del verbo modale (“il giudice può”), ed ancor più sottolineato, oggi, dalla diversa formulazione del nuovo comma 2-bis dedicato ai delitti previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale (“il giudice dispone il sequestro dei beni di cui è consentita la confisca”), non possa non coniugarsi l’esigenza della attestazione della sua giustificazione.

Non è dato infatti comprendere perché il dovere di rendere conto della scelta ablatoria esercitata dovrebbe essere altra e diversa cosa rispetto all’essenza stessa della motivazione che, già sotto l’aspetto definitorio generalmente accettato, si risolve nella esposizione delle ragioni che giustificano una determinata decisione, e dunque, con riferimento al provvedimento in oggetto, di spiegare, in termini di fatto e di diritto, le ragioni dell’adozione dello stesso.

L’indice testuale rivelatore dalla natura discrezionale del potere esercitato si coniuga, poi, con il ragionamento sistematico, e, in particolare, come già anticipato, con la necessità che l’esigenza cautelare in sé non possa, quasi per definizione, non essere sorretta da una motivazione sul punto, giacché già il solo fatto che gli effetti di misure limitative di diritti dell’imputato (ordinariamente condizionati all’affermazione di responsabilità o comunque all’accertamento del fatto) vengano anticipati rispetto alla decisione finale, non può non comportare un giudizio quanto meno di tipo prognostico non solo sul piano del fumus del reato ma anche sul piano della necessità di una anticipata esigenza ablatoria, attesa la complementarietà dei due profili.

In tale prospettiva, pertanto, affermare, come è, nella sostanza, delle sentenze annoverabili all’interno del primo orientamento, che possa bastare sempre, in caso di sequestro finalizzato alla confisca, la motivazione in ordine alla riconducibilità del bene tra le categorie di cose oggettivamente suscettibili di confisca, significa semplicemente motivare ciò che è richiesto, nè più nè meno, ai fini della misura finale, in tal modo annullando ogni divaricazione tra il piano cautelare e il piano del giudizio, sì che, davvero, la mera confiscabilità finirebbe, inammissibilmente, per giustificare ipso iure il sequestro.

Sicché, anche la mancanza, nelle ipotesi dell’art. 321, comma 2 a differenza di quanto previsto nell’incipit del comma 1, di una specifica formulazione del presupposto su cui imperniare l’adozione del provvedimento e, conseguentemente, la sua motivazione, è dovuto proprio alla finalità specifica della confisca, le cui diverse tipologie (solo per fermarsi all’art. 240 c.p., coevo all’epoca di conio dell’art. 321, comma 2) e il cui diverso possibile oggetto avrebbero reso non praticabile (se non attraverso appunto il richiamo alla mera locuzione di “cose di cui è consentita la confisca”) una specificazione delle diverse esigenze anticipatorie calibrate proprio sulla ragione della confisca stessa.

Nè, in tale contesto, l’avverbio aggiuntivo “altresì” del comma 2, valorizzato in senso riduttivo dal primo orientamento, può assumere alcun significato di esclusione di un onere motivazionale del giudice (che semmai sarebbe stato più propriamente il risultato dell’impiego di un avverbio avversativo) dovendo invece, più pianamente, intendersi che, accanto al sequestro impeditivo, il giudice può, “inoltre” (sinonimo, questo, appunto, di “altresì”), disporre anche il sequestro a fini di confisca.

Ed anzi, proprio la differente formulazione dei commi 2 e 2-bis conduce, ancor più, a ripudiare la opzione riduttiva, abbracciata dal primo orientamento, di una motivazione confinata nella mera individuazione della confiscabilità del bene, invece sufficiente, alla luce della differente formulazione della norma, proprio per il sequestro introdotto dal legislatore con riguardo ai reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.

Non possono, del resto, essere sottaciuti, sul punto, i rilievi, avanzati anche in dottrina, sulle conseguenze che una esegesi riduttiva dell’onere motivazionale del provvedimento di sequestro a fini di confisca potrebbe comportare sul piano dei principi costituzionali e, in particolare del principio di presunzione di non colpevolezza di cui all’ art. 27 Cost., comma 2, e di cui all’art. 6, par. 2, CEDU: evidenti sarebbero infatti gli aspetti problematici di una soluzione ermeneutica in ragione della quale il provvedimento cautelare prescindesse da una concreta prognosi in ordine alla conseguibilità della misura ablativa finale, così non scongiurandosi la possibilità, esattamente antitetica al predicato costituzionale appena ricordato, che la misura cautelare possa incidere sui diritti individuali più di quanto non lo possa la pronuncia di merito; in altri termini, la risposta afflittiva, quale è anche quella propria della confisca, dovrebbe, si è condivisibilmente detto, costituire il contenuto delle sole pronunce emesse a seguito di un giusto processo sul fatto colpevole e mai di provvedimenti disposti prima della soluzione giudiziaria definitiva.

In definitiva, dunque, solo una soluzione ermeneutica che vincoli il sequestro preventivo funzionale alla confisca ad una motivazione anche sul periculum in mora garantirebbe coerenza con i criteri di proporzionalità, adeguatezza e gradualità della misura cautelare reale, evitando un’indebita compressione di diritti costituzionalmente e convenzionalmente garantiti, quali il diritto di proprietà o la libertà di iniziativa economica, e la trasformazione della misura cautelare in uno strumento, in parte o in tutto, inutilmente vessatorio.

Quanto appena detto pone anche le logiche premesse per l’individuazione dei parametri generali del periculum ai quali la motivazione del sequestro preventivo a fini di confisca deve rispondere.

Se, infatti, il decreto di sequestro deve spiegare, in linea con la ratio della misura cautelare reale in oggetto, per quali ragioni si ritenga di anticipare gli effetti della confisca che, diversamente, nascerebbero solo a giudizio concluso, la valutazione del periculum non potrà non riguardare esattamente un tale profilo, dando cioè atto degli elementi indicativi del fatto che la definizione del giudizio non possa essere attesa, posto che, diversamente, la confisca rischierebbe di divenire, successivamente, impraticabile.

Nessun utile parametro può infatti essere rappresentato dalla qualificazione formale della confisca come obbligatoria (per la quale, secondo l’indirizzo ricordato, nessun obbligo motivazionale si porrebbe) o, invece, come facoltativa (per la quale sola, invece, il giudice sarebbe tenuto a motivare): il fatto che la confisca sia stabilita come “obbligatoria” non basterebbe, evidentemente, a rendere “obbligatorio” anche il sequestro dell’art 321 c.p.p., comma 2, se non altro perché, sulla base di detta norma generale e onnicomprensiva, il giudice, come già osservato, “può”, e quindi non “deve”, adottare la misura cautelare.

Il criterio su cui plasmare l’onere motivazionale del provvedimento di sequestro in oggetto va quindi rapportato alla natura anticipatrice della misura cautelare; deve ritenersi corretto, con riferimento, come nel caso di specie, al sequestro che abbia ad oggetto cose profitto del reato, l’indirizzo che afferma la necessità, sia pure facendola impropriamente rientrare nell’alveo dell’esigenza di evitare la protrazione degli effetti del reato (in realtà già insita nel sequestro impeditivo), che il provvedimento si soffermi sulle ragioni per le quali il bene potrebbe, nelle more del giudizio, essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato.

Una esigenza, questa, rapportata appunto alla ratio della misura cautelare volta a preservare, anticipandone i tempi, gli effetti di una misura che, ove si attendesse l’esito del processo, potrebbero essere vanificati dal trascorrere del tempo.

In definitiva, dunque, è il parametro della “esigenza anticipatoria” della confisca a dovere fungere da criterio generale cui rapportare il contenuto motivazionale del provvedimento, con la conseguenza che, ogniqualvolta la confisca sia dalla legge condizionata alla sentenza di condanna o di applicazione della pena, il giudice sarà tenuto a spiegare, in termini che, naturalmente, potranno essere diversamente modulati a seconda delle caratteristiche del bene da sottrarre, e che in ogni caso non potranno non tenere conto dello stato interlocutorio del provvedimento, e, dunque, della sufficienza di elementi di plausibile indicazione del periculum, le ragioni della impossibilità di attendere il provvedimento definitorio del giudizio.

Il criterio qui indicato spiega anche perchè, invece, con riguardo alle cose “la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione e alienazione costituisca reato” (art 240 c.p., comma 2), sia sufficiente dare, semplicemente, conto, della confiscabilità del bene: difettando infatti, per legge, per la intrinseca pericolosità derivante dalle sue caratteristiche, il presupposto della confisca rappresentato dalla sentenza di condanna o di applicazione della pena, l’esigenza anticipatoria verrà a ridursi alla sola attestazione della ricomprensione dell’oggetto tra quelli, appunto, di natura “illecita”, giacché già solo tale requisito finisce, con ogni evidenza, per esaurire la dimensione “cautelare” connessa alla misura finale.

Deve solo precisarsi che, con riferimento invece alle cose che costituiscono il prezzo del reato, il sequestro di cui all’ art 321 c.p.p., comma 2, che abbia ad oggetto le stesse non si sottrae all’onere motivazionale di cui si è già detto atteso che, pur non essendo necessario, ai fini della confisca diretta, un giudicato formale di condanna, è pur sempre richiesta una pronuncia in tal senso, anche se il processo sia poi stato definito con una declaratoria di estinzione del reato per prescrizione; di qui la necessità, anche in tal caso, all’interno di una medesima ratio, della giustificazione delle ragioni che impongono la anticipazione della misura rispetto a tale momento finale.

In definitiva, dunque, alla sufficienza, nel solo caso delle cose, per così dire, intrinsecamente “illecite”, di una motivazione che, con riguardo al sequestro ex  art 321 c.p.p., comma 2, dia conto semplicemente della natura del bene, corrisponde, sul versante della valutazione invece operata in sede di riesame, il divieto, in ogni caso, e dunque anche in ipotesi di annullamento della misura reale, di restituzione delle stesse; viceversa, laddove si tratti di cose che tale qualità non possiedano, alla necessità di una motivazione che espliciti, sia pure, come detto, secondo “stilemi” adeguati alla fase processuale interessata, la ragione dell’anticipazione della misura finale rispetto ai presupposti che condizionano l’adozione della confisca, non può non corrispondere, in sede di riesame, la piena espansione degli effetti dell’annullamento della misura reale.

Sentenza della Cassazione n. 36959 del 24 Giugno 2021

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