Vai al contenuto

Stupefacenti: sulla compatibilità fra l’attenuante dei motivi di lucro e il fatto di lieve entità

  • News

Con sentenza n. 24990 del 30 gennaio 2020  (motivazione depositata il 2 settembre 2020), le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione affermano l’applicabilità dell’attenuante generica del lucro di speciale tenuità ai reati in materia di stupefacenti nonché, fra questi, al fatto di lieve entità, vale a dire all’ipotesi delittuosa prevista dal V comma dell’art. 73 del Testo Unico che, ormai dal 2014, costituisce fattispecie autonoma rispetto a quelle “ordinarie” di cui ai restanti commi dello stesso articolo qualora “per i mezzi, le modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze” il fatto sia di lieve entità.

Il Giudice di legittimità contrasta, anzitutto, l’orientamento giurisprudenziale secondo cui ogni violazione della disciplina penale degli stupefacenti, provocando la lesione di beni giuridici primari quali la salute dell’individuo e la sicurezza pubblica, dovrebbe comportare necessariamente un evento di danno o pericolo giammai qualificabile in termini di tenuità.

L’erroneità di tale orientamento è testimoniata, in primo luogo, dall’esistenza dello stesso V comma dell’art. 73 T.U. Stupefacenti, relativo al fatto di lieve entità che, altrimenti, non sarebbe mai configurabile.

Per di più, ove l’evento fosse necessariamente grave, tale materia sfuggirebbe all’applicazione dell’art. 131 bis c.p., che prevede come possibile la “non punibilità del fatto quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo (…), l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”.

Tale disposizione non esclude alcuno specifico bene giuridico, guardando esclusivamente alla sanzione edittale, all’intensità e al grado dell’offesa, con ciò prescindendo quindi dalla natura dell’interesse tutelato.

Non esiste, cioè, alcuna tipologia di reato in cui sia ontologicamente vietata l’applicazione dell’istituto in questione; l’unico limite, chiaramente previsto dal secondo comma dell’art. 131 bis c.p., è rappresentato dall’ipotesi in cui la condotta criminosa abbia cagionato, quale conseguenza non voluta, la morte o le lesioni gravissime.

La Suprema Corte analizza, poi, la circostanza attenuante comune del danno di speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4, c.p., sancendo come sia applicabile a ogni tipo di delitto commesso per motivi di lucro, indipendentemente dalla natura del bene oggetto di tutela, sempre purché la speciale tenuità riguardi tanto l’entità del lucro (conseguendo o conseguito) quanto la gravità dell’evento dannoso o pericoloso e sempre che la condotta criminosa non integri una fattispecie di natura contravvenzionale.

Teorizzare, anche in tal caso, l’applicabilità di detta attenuante comune soltanto a determinate categorie di delitti avrebbe l’effetto di sganciare la circostanza in esame dalla concreta connotazione storica del fatto.

Pertanto, in ragione di tutto quanto sopra, l’attenuante ex art. 62, n. 4, c.p. potrà trovare applicazione anche con riguardo ai reati in materia di stupefacenti nonché, fra questi, anche all’autonoma fattispecie prevista dal comma V dell’art. 73 D.P.R. 309/1990, che punisce le condotte di “Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope” con una sanzione di gran lunga inferiore alle ipotesi “ordinarie” di cui ai restanti commi dello stesso articolo qualora “per i mezzi, le modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze” il fatto sia di lieve entità.

Diverse ragioni militano, invero, in questa direzione.

Anzitutto, l’eventuale incompatibilità della circostanza attenuante con la sopra detta fattispecie delittuosa sarebbe stata oggetto di un espresso disposto da parte del legislatore.

Per di più, a fronte di detta incompatibilità l’imputato non potrebbe beneficiare di un eventuale bilanciamento con le aggravanti contestate in relazione alla fattispecie prevista dal citato art. 73, comma V, T.U., nemmeno in presenza di un lucro e di un’offesa specialmente tenue.

Non da ultimo, mentre la valutazione afferente alla “lieve entità” del fatto (art. 73, comma 5, T.U.S.) è relativa alla condotta, come emerge dalla semplice lettura del testo di legge, la verifica della “speciale tenuità” (art. 62, n. 4, c.p.) attiene esclusivamente ai motivi a delinquere (lucro perseguito), al profitto (lucro conseguito) e all’evento (dannoso o pericoloso) scaturente dal reato.

Trattasi, quindi, di elementi fra loro tutti certamente distinti e oggetto di valutazione di diversa natura e grado: la “lieve entità del fatto” sarà il frutto di un’analisi unitaria-complessiva, poiché non scandita da un ordine gerarchico degli elementi allo scopo rilevanti; la “speciale tenuità” del lucro e dell’offesa richiede, invece, che il delitto sia determinato da motivi di lucro e che l’agente abbia perseguito (o conseguito) un lucro di speciale tenuità.

Concludendo, ai fini della applicazione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità al fatto lieve in materia di stupefacenti sarà necessario che il giudice di merito analizzi adeguatamente sia l’entità del lucro conseguito/perseguito dall’agente che la gravità dell’evento conseguente alla condotta incriminata, la quale dovrà essere certamente modesta, oltre che proporzionata alla tenuità del vantaggio patrimoniale che l’autore del fatto si proponeva di conseguire o abbia realmente conseguito.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *