Le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione, con sentenza n. 10728 del 16 dicembre 2021 (motivazione depositata il 24 marzo 2022), hanno stabilito che non è abnorme il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari non accolga la richiesta di archiviazione e restituisca gli atti al pubblico ministero affinché effettui nuove indagini consistenti nell’interrogatorio dell’indagato, trattandosi di provvedimento che, non solo non risulta avulso dall’intero ordinamento processuale, ma costituisce espressione di poteri riconosciuti al giudice, poi aggiungendo che l ‘abnormità va esclusa anche nel caso in cui l’interrogatorio debba espletarsi con riguardo ad un reato diverso da quello per il quale è stata richiesta l’archiviazione, essendo dovuta, in tale caso, la previa iscrizione nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen..
Nell’affermare tale principio, il Giudice di legittimità si sofferma, analizzandone la natura, sull’istituto dell’interrogatorio dell’indagato/imputato.
Ebbene, pur non potendosi negare che l’interrogatorio rappresenta un fondamentale momento di garanzia nell’ambito del rapporto fra il soggetto indiziato e l’autorità giudiziaria, tale atto può avere, parimenti, una valenza investigativa, contribuendo a sostanziare il compendio di elementi acquisiti nel corso delle indagini, particolarmente ove conduca alla raccolta di elementi a carico del dichiarante, pienamente utilizzabili contra reum, come nel caso di confessione ovvero di dichiarazioni atte a smentire la valenza a discarico di eventuali altri elementi raccolti.
Inoltre, l’interrogatorio – da solo o combinandosi con gli altri elementi a disposizione del giudice – può svolgere anche una funzione “ricostruttiva” in fatto, che può agevolare la decisione del giudice, anche rispetto alle prospettive di evoluzione dibattimentale dell’accusa che pure quest’ultimo deve vagliare nella scelta tra archiviare e disporre l’imputazione coatta; ciò a fortiori laddove il soggetto sottoposto alle indagini non sia stato mai escusso prima.
In altri termini, la necessità che l’interrogatorio sia preceduto dalla contestazione del fatto – la cui descrizione è da intendersi con il carattere di “fluidità” propria di una contestazione formulata nel corso delle indagini – si fonda non sulla già avvenuta cristallizzazione di un’imputazione, ma sulla necessità di garantire all’indagato di rispondere alle domande con cognizione dell’accusa ipotizzata a suo carico.
Ne consegue che soltanto una lettura meramente formalistica della dinamica processuale potrebbe condurre ad escludere a priori la possibile valenza ricostruttiva e/o investigativa dell’interrogatorio, dotato pertanto di natura “mista”, avendo una funzione non solo di garanzia, ma anche istruttoria. Tali aspetti finiscono in concreto per intrecciarsi: quando l’interrogato risponde alle domande fornendo elementi conoscitivi in proprio favore, è innegabile che si tratti di una peculiare forma di esercizio del diritto di difendersi provando. Al contrario, eventuali affermazioni fatte dall’imputato a proprio favore potranno essere comunque valutate nell’ambito del compendio istruttorio, eventualmente attraverso una comparazione con la contrapposta versione dei fatti fornita dalla persona offesa.
Con riguardo alla valenza dell’Isitituto, le Sezioni Unite penali, con sentenza n. 21833 del 22/02/2007, ric. Iordache, avevano già affermato che “Quanto all’interrogatorio reso dinanzi all’Autorità Giudiziaria (…) è certo vero che specie allorquando il ricorso a tale strumento venga sollecitato dalla parte privata al fine di esporre quanto utile per la propria difesa – art. 65 c.p.p., comma 2, – esso si caratterizza essenzialmente come strumento di difesa, ma è pure vero che l’Autorità Giudiziaria prima di raccogliere le dichiarazioni dell’indagato deve, a norma dell’art. 65 c.p.p., comma 1, contestare allo stesso il fatto che gli è attribuito rendendogli noti gli elementi di prova esistenti contro di lui e, ai sensi del comma 2 dell’articolo citato, gli pone direttamente domande.
Pur non volendo disconoscere che l’interrogatorio dell’indagato, specialmente quando sia richiesto dalla parte, abbia importanti finalità difensive, non vi può essere dubbio che si tratti anche di uno strumento che consente all’Autorità Giudiziaria di contestare i fatti e di porre domande all’indagato al fine di accertare la verità, che è il fine principale del processo penale. Si tratta senz’altro, quindi, di un atto da annoverare tra quelli fondamentali del processo, perchè rende manifesta la volontà degli organi dello Stato di perseguire l’illecito”.
La natura difensiva dell’interrogatorio appare ulteriormente avvalorata dalla presenza di un diverso istituto, l’esame dibattimentale, deputato sempre a raccogliere le conoscenze dell’imputato, ma disciplinato nel libro III del codice quale mezzo di prova, come species del genus esame delle parti; onde nel disegno legislativo, risulta indicata in modo netto la contrapposizione fra interrogatorio predibattimentale, inteso quale strumento di difesa, ed esame dibattimentale, ricompreso nel novero dei mezzi di prova.
Tuttavia, la collocazione sistematica dell’istituto e la sua contrapposizione all’esame dibattimentale non vanno eccessivamente enfatizzate perché, nell’attuale sistema processuale, non è “prova” solo ciò che scaturisce dalla dialettica del dibattimento.
Infatti, una volta garantita all’interrogato l’opportunità di avvalersi di tutte le facoltà afferenti all’esercizio del diritto di autodifesa, non è possibile escludere a priori un suo contegno collaborativo che si traduca nel rispondere alle domande rivoltegli o anche in una vera e propria confessione della propria responsabilità per gli addebiti.
Le possibili “risultanze” dell’interrogatorio costituiscono cioè elementi di prova utilizzabili, a seconda dei casi e sulla base di diversi presupposti legislativamente definiti, sia per le “determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale” (art. 326 c.p.p.), sia per decidere l’emissione di provvedimenti restrittivi della libertà personale, sia per sciogliere all’udienza preliminare l’alternativa tra rinvio a giudizio e sentenza di non luogo a procedere, sia per giungere a un giudizio definitivo sul merito dell’imputazione tanto nei procedimenti speciali quanto nella stessa sede dibattimentale, attraverso le contestazioni previste dall’art. 503, commi 5 e 6, o la lettura disciplinata dall’art. 513 c.p.p., comma 1.
E convergono in tal senso ulteriori riferimenti normativi: il disposto dell’art. 64 c.p.p., comma 3, a cominciare dalla lettera a), che prescrive l’avvertimento all’indagato, a pena di inutilizzabilità dell’atto, “che le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti” (avvertimento che si fonda proprio sul fatto che non è affatto esclusa una finalizzazione contra reum dei risultati dell’interrogatorio).
L’interrogatorio del pubblico ministero e l’esame dibattimentale condividono, poi, anche la previsione normativa del c.d. “diritto al silenzio”, il cui esercizio non vale, però, ad escludere il valore probatorio dell’atto, ma semplicemente a renderlo soltanto eventuale per il caso in cui l’imputato si rifiuti di rispondere.
Indubitabile pertanto, in ragione di tutto quanto sopra, che l’interrogatorio sia dotato di una natura mista: difensiva e, altresì, investigativa.