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Corte Costituzionale, sentenza 1° febbraio 2022 n. 28 – ragguaglio fra pene pecuniarie e detentive ridotto da 250 a 75 €/giorno

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 28 del primo Febbraio 2022, ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’articolo 53, secondo comma, della legge n.689 del 1981; ciò in quanto “Il tasso minimo di 250 euro al giorno previsto dalla legge trasforma la possibilità di sostituire il carcere con la pena pecuniaria in un privilegio per i condannati abbienti”.

L’articolo 53 della legge n. 689 del 1981 al riguardo stabilisce le pene detentive brevi possano essere sostituite dal giudice con le pene sostitutive della semidetenzione, della libertà controllata e della pena pecuniaria entro i limiti massimi, rispettivamente, di due anni, un anno e sei mesi.

Il successivo art. 58 disciplina l’esercizio di tale potere discrezionale da parte del giudice. Sulla base dei generali criteri per la commisurazione della pena indicati dall’art. 133 c.p., il giudice valuta anzitutto se sostituire la pena, essendo tenuto a non farlo allorché presuma che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato, oltre che in presenza delle cause ostative enumerate dall’art. 59 della stessa legge n. 689 del 1981; nel caso poi in cui opti per la sostituzione, «sceglie quella più idonea al reinserimento sociale del condannato».

Tale istituto fu introdotto nel nostro ordinamento allo scopo di limitare gli effetti negativi determinati dall’esecuzione delle pene detentive di breve durata; pene troppo brevi, appunto, perché potesse essere impostato e attuato un programma rieducativo realmente efficace in favore del condannato, ma abbastanza lunghe da determinare gravi conseguenze a suo carico, talora anche per reati di bassa gravità.

L’articolo 53 oggetto di censura prevede, in particolare, un sistema di determinazione della pena pecuniaria sostitutiva per tassi giornalieri: il giudice «individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l’imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva», tenendo conto – ai fini della determinazione di tale valore giornaliero – «della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare». Tale valore giornaliero non può peraltro «essere inferiore alla somma indicata dall’articolo 135 del c.p. e non può superare di dieci volte tale ammontare». La pena pecuniaria complessiva risultante può, infine, essere soggetta al beneficio della rateizzazione previsto dall’art. 133-ter c.p., pure richiamato dalla disposizione in esame.  Il limite minimo del tasso di conversione giornaliero che il giudice è tenuto a stabilire è stato peraltro più volte modificato, sino ad essere, nel 2009, drasticamente innalzato agli attuali 250 euro giornalieri.

La Corte Costituzionale ricorda come il nostro ordinamento esiga che il giudice sia posto nella condizione di tenere debito conto – nella commisurazione della pena pecuniaria – delle condizioni economiche del reo (oltre che della gravità oggettiva e soggettiva del reato) e come a questa esigenza sia ispirato, nell’ordinamento italiano, l’art. 133-bis c.p., primo comma; di contro il secondo comma dello stesso articolo prevede la possibilità di un aumento sino al triplo del massimo stabilito dalla legge, nonché di una diminuzione sino a un terzo del minimo, allorché il giudice ritenga «che la misura massima sia inefficace ovvero che la misura minima sia eccessivamente gravosa».

Ciò considerato, prosegue la corte, è evidente come una quota giornaliera di 250 euro sia ben superiore a quella che la gran parte delle persone che vivono oggi nel nostro Paese sono ragionevolmente in grado di pagare, e che moltiplicando poi tale somma per il numero di giorni di pena detentiva da sostituire, una simile quota conduca a risultati estremamente onerosi per molte di queste persone; tutto questo ha determinato, nella prassi, una drastica compressione del ricorso alla sostituzione della pena pecuniaria, che pure era stata concepita dal legislatore del 1981 come prezioso strumento destinato a evitare, a chi sia stato ritenuto responsabile di reati di modesta gravità, di scontare pene detentive troppo brevi perché possa essere impostato un reale percorso trattamentale, ma già sufficienti a produrre quei gravi effetti che il solo ingresso in carcere solitamente produce.

Queste le ragioni che hanno indotto il Giudice delle leggi a dichiarare parzialmente incostituzionale l’art. 53, comma 2, della legge 689 del 1981 per violazione dei principi di uguaglianza e finalità rieducativa della pena nonché a ritenere che ai 250 euro debbano essere sostituiti i 74 euro già previsti dalla normativa in materia di decreto penale di condanna, fermo restando l’attuale limite massimo giornaliero di 2.500 euro.

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